La povertà spiegata ai miei figli
Alle sei di sera è già buio, ma Milano è in fermento. Tutti che escono dall’ufficio, la gente che si fionda al supermercato prima di rientrare a casa, le macchine in coda al semaforo che emettono gas pestilenziali. Trattengo il respiro più che posso.
Ormai sono allenata a non respirare questa città: lo smog, l’odore di umanità sul tram, quelli che ti tossiscono addosso, gli studenti che non si levano mai lo zaino sull’autobus e ti stritolano contro un finestrino, le cacche dei cani, le bici contromano. Ci credo che tutti si mettono a smanettare con il cellulare appena salgono in metropolitana: per non guardarsi in faccia.
Eppure camminare serve. Se andate al lavoro in macchina fateVI un favore: almeno un giorno al mese andateci a piedi. Chiudersi in una scatola confortevole non è la soluzione. Tutte queste cose dovete vederle.
Non avete idea di come ci si accorga di quanta gente povera c’è spostandosi a piedi.
Io abito in un quartiere pieno di accattoni. Ma di quelli organizzati, che ormai fanno parte del paesaggio.
Postazione di lavoro n.1: fuori dall’ospedale. Postazione di lavoro n.2: fuori dalla chiesa. Postazione di lavoro n.3: sui gradini della metro. Postazione di lavoro n.4: secondo ingresso della metropolitana. Postazione di lavoro n.5: fuori dal panettiere. Postazione di lavoro n.6: fuori dalla scuola. Postazione di lavoro n.7: nella piazzetta pedonale. Vi salto i due ragazzi africani, che però vendono le loro mercanzie, quindi non sono mendicanti. Lo zingaro di turno che mi chiede i soldi dicendo che è disperato e io non glieli do mai. Magari è veramente disperato e dargli un euro non mi cambierebbe la vita, ma non posso dare soldi a tutti e poi sotto sotto penso che è colpa sua se ha fatto tredici figli per poi metterli in una baracca.
L’Opera San Francesco per i Poveri si trova in uno dei quartieri migliori della città. Ci passo davanti per andare dal dentista. E’ uno degli spettacoli più inquietanti a cui possa accadere di assistere a Milano. Scendono a frotte dal tram per andare a mangiare e a lavarsi. Spesso sento lingue sconosciute, alcune volte li vedo litigare mentre sono in coda, altre stanno in silenzio. Mi chiedo se hanno un lavoro e se al lavoro si sa che vanno alla mensa dei poveri e che magari dormono dove capita. Se in qualche modo la vergogna della povertà si riesce a nascondere.
L’altra sera, mentre passavo di lì, mi sono lasciata alle spalle l’Opera e ho tirato dritto per un po’. Ogni dieci metri c’era un barbone seduto sul gradino di un negozio, al buio. Ognuno aveva un bicchierino per l’elemosina, la barba lunga, i vestiti sporchi. E io avevo paura di guardarli in faccia.
La povertà estrema è una delle cose più terrorizzanti che esistano al mondo. Questi barboni erano italiani e nemmeno tanto vecchi. Un motivo per averne ancora più timore. Mi chiedo come fossero queste persone “prima”, magari da bambini, quando avevano una famiglia. Come ci si può ridurre a non avere alcuna rete famigliare intorno?
Insomma, tutto ciò per dire cosa?
Che questo è l’ambiente in cui vivono anche i miei figli. Ogni giorno agli angoli delle strade c’è qualcuno che chiede soldi alla mamma e la mamma tira dritto, come in un romanzo di Dickens.
Loro mi riempiono di domande sul perché quelle persone chiedono l’elemosina e io sono imbarazzata: parlare di povertà o di racket? Sono veramente poveri o poveri di professione? E gli sfruttati non sono forse veri poveri?
Confesso che mi risulta molto più facile semplificare a misura di bambino e attribuire le colpe dell’accattonaggio alla cultura dello sfruttamento. Man mano che i bambini crescono cerco di introdurre spiegazioni più sofisticate, parlando di disoccupazione e casa. Loro sono sempre molto teneri nella semplicità delle proposte: “Secondo me i governi dovrebbero comprare le case alla povera gente, anzi le fabbriche, e metterle nei paesi poveri”. Eppure in quello stesso momento non sto dando un euro a chi lo chiede, mettendo in pratica il contrario del concetto di solidarietà che normalmente insegno ai miei figli. Non essendo riuscita nemmeno io in tutti questi anni a fare completamente i conti con le ingiustizie del mondo, come posso essere credibile e coerente con loro?
Il mondo può essere così squallido, le notizie così brutte, che per molti è normale rifugiarsi nelle certezze di ciò che si ha, nella propria famiglia, nel mantenimento dello status, qualunque esso sia. Invecchiando poi si diventa più cinici, meno idealisti. Si prova fastidio per il degrado prima ancora che solidarietà.
“Perché il mondo è ingiusto e fa schifo, ma io sono una brava persona, mi guadagno la vita onestamente, pago le tasse e dormo il sonno del giusto. Alla fine, mi dispiace tanto ma questo non è un mio problema.”
E’ chiaro che poi ognuno di noi trova un modo per convivere con queste cose. Fare della beneficenza è il sistema più semplice, ma resta comunque un mezzo molto limitato. Non è possibile risolvere in questo modo problemi ben più grandi di noi singoli.
E’ per questo che gli adulti imparano con il tempo a convivere con l’ingiustizia sociale, anche quando cercano di fare la loro parte per aiutare chi ha bisogno. In alcuni momenti della vita ci si costruisce una corazza, soprattutto se si vive in una realtà che ci mette in condizione di “abituarci” a vedere dappertutto l’accattone. Non è bello ammetterlo, ma qualsiasi abitante di una grande città sa che è vero.
Qual è la morale?
Figli miei, il mondo non è come ve lo spiegano a scuola e qualche volta anche i genitori a casa: bianco e nero, buoni e cattivi. Il mondo è grigio e io e papà sappiamo essere grigi, talvolta.
lucida, come solo tu sai essere. è un pensiero che ho fatto spesso anche io, soprattutto quando giravamo il mondo in camper con i ragazzi e ci capitava di andare in turchia, in marocco, nei paesi dell’est.
spiegare ai figli che come vivono loro nn è l’unico modo è la prima cosa. nn poter far qualcosa x tutte le ingiustizie del mondo è una delle cose con cui bisogna venire a patti
direi difficilissimo argomento. però si può fare molto cogliendo occasioni che derivano dalla strada , dai giornali o da esperienze personali. e anche spiegando ai bambini cosa significa l’essenzialità, il risparmio, non scialaquare i soldi (si scrive così). insomma educandoli ad una visione ” altra” del mondo. e ben vengano – appena saranno più grandini – le proposte di oratorio e scout (è solo un esempio) di “servizio”. da noi i giovani vanno a distribuire coperte a chi dorme sotto i portici della Galleria, oppure un tepo si andava da Fratel Ettore al dormitorio sotto la stazione. Insomma, per quanto poco, qualcosa si può fare. Rendersene conto ed esserne consapevoli è qualcosa che si acquisisce con l’età e i buoni maestri. Purtroppo non si riesce ad aiutare tutti, e questo sarà per sempre il nostro strazio (almeno il mio)
Sì, nel post ho cercato di focalizzarmi sulla povertà che si incontra per strada ma i temi sono veramente tanti.
Il discorso sul “risparmio” personalmente lo faccio entrare in un concetto di “modestia” che mi è stato inculcato da piccola e ancora mi fa sentire in colpa quando mi compro un cellulare troppo costoso, pure se mi serve per il lavoro.
In generale mi sembra opportuno contenere i desideri troppo consumistici dei bambini e far capire loro il valore dei soldi. Ultimamente abbiamo comminato una pena pecuniaria, direttamente dal salvadanaio, dopo il terzo paio di pantaloni rotto a scuola!
@emily: Sì, venire a patti con le nostre capacità limitate è la parte più realistica ma sgradevole. Non deve essere nemmeno una scusa per non fare niente. Io quest’anno cercherò di comprare i miei regali di Natale solo alle varie fiere di beneficenza.
E’ davvero un tema complicato… e spiegarlo non è così immediato. In in quel mondo ci lavoro anche, ne conosco molti aspetti,altri mi sfuggono.Purtroppo è difficile spiegare le dinamiche della “caduta” in povertà. Le differenze.La mancanza di speranza. E che tutto questo sia ormai un fenomeno che ci tocca quotidianamente.
Sì, il punto è che non possiamo più fare finta di niente, perchè la realtà sta venendo a prenderci dentro le nostre case.
Cribbio.
Onesta fino in fondo. Hai detto tutto quello che penso anche io. Però io non sono onesta come te verso me stessa e gli altri.
Brava.
Perchè dici che non sei onesta? Se mi hai scritto qui sopra, penso che tu invece abbia tanti pensieri sull’argomento…
Perchè da una parte la “carità cristiana” mi insegna che devo aiutare il mio prossimo. Ma poi in realtà quando vedo i mendicanti ai semafori, fuori dai supermercati, nei parcheggi provo solo fastidio.
E portare il cibo in parrocchia per i bisognosi mi sembra una scelta troppo “di comodo”..
Capisco. Però in fondo aiutare chi aiuta forse è il modo migliore per evitare di alimentare il racket. E poi, magari con i bambini un po’ più grandi, fare un po’ di volontariato.
E’ impossibile essere coerenti di fronte a questi temi. Io ho iniziato a dare l’elemosina a qualcuno (ma ovvio, tutti come faremmo?!?!) giusto un paio di mesi fa, quando ancora vivevo in Sicilia e ho assistito all’arrivo di tanti bimbi africani sulle carrette del mare. E tanti ne sono morti, e questo mi ha fatto riflettere sulla povertà estrema e su come anche quando cerchiamo di chiudere gli occhi non riusciamo mai a chiudere il cuore (e meno male che qualcuno lo tiene aperto: è quello che anch’io voglio insegnare ai miei bimbi). Hai scritto davvero un bel post. Il mondo è pieno di grigi e non si può mai giudicare prima di aver visto e magari vissuto un qualcosa degli altri.
Il mondo ormai è pieno di ingiustizie, siamo abituati (che parola terribile) a tutto: ai morti al tg, alle immagini di povertà, alla violenza.
Ma non siamo più abituati a vedere col cuore.
A guardare il posto in cui viviamo e le sue mille sfaccettature, i suoi mille grigi.
Tema difficile. La povertà spiegata ai figli. Un giorno faremo loro capire anche che a volte essere coerenti è davvero un’impresa, anche dolorosa per chi il cuore lo tiene aperto.
Ultimamente penso che la vita sociale sia una giungla. Ma non lo dico come frase fatta, lo dico proprio perchè vedo tutti questi problemi globali, che ci riguardano come cittadini e che ci allontanano gli uni dagli altri, alla ricerca del nostro beneficio individuale. Il che è anche una cosa in qualche modo naturale.
Però devo dire che avere dei figli abbastanza piccoli per conoscere altre mamme, per esempio, è una fonte di ottimismo ed energia. E’ un modo per fare rete, incontrarsi e supportarsi, per condividere iniziative anche benefiche o utili alla comunità. E anche la Rete mi è utile in questo senso.
E’ vero. Tra l’altro nel mio piccolo ho appena donato tutta la cameretta e quasi tutti i giochi dei bimbi alla Caritas che si occupa dell’emergenza immigrati a Ragusa. E’ una piccola cosa, per me che raramente lascio elemosina e quindi posso sembrare in qualche modo incoerente, ma mi fa stare bene. E’ vero anche che l’essere mamma di bimbi piccoli permette di condividere molto, ma concordo… la vita sociale è una giungla, e non è una frase fatta!
Spiegare questi fatti della vita ai propri figli è davvero ostico anche perché loro spesso guardano le nostre azioni e seguono il nostro esempio.
Rararamente regalo denaro ai mendicanti, in genere fanno parte di organizzazioni criminali ma molte volte mio figlio ha lasciato qualche moneta agli artisti di strada. Gli abbiamo fatto vedere i siti e i volantini delle associazioni alle quali versiamo il cinque per mille ed io presto qualche ora di volontariato alla settimana. Il volontariato ti apre davvero il cuore e si crea una rete invisibile di calore e comprensione, è uno scambio reciproco. Sono convinta che si inneschi una sorta di circolo virtuoso, un’azione buona tira l’altra!
Spesso “annoio” mio figlio con i racconti di alcune iniziative benefiche (come Mani Tese ad es.),con gli episodi buffi accaduti durante il volontariato natalizio, dove ti trovi a fare numerosi pacchetti e alla richiesta di un piccolo contributo assisti a scene pietose o addirittura chi pensa di non essere visto lascia bottoni o caramelle nelle techa-salvadanaio… 🙁 Insomma non possiamo caricare sulle nostre spalle i mali del mondo ma, in alcune fasi delle nostra vita, possiamo dare un piccolo ma significativo contributo.
(Piacere, mi chiamo Silvia)
Quando ero all’università per un breve tempo ho fatto la volontaria per un’associazione che la sera portava coperte, bevande e cibi caldi ai “barboni” bolognesi. Non l’ho fatto per carità cristiana, ma perché mi piaceva un ragazzo dell’associazione. Del ragazzo non ricordo più il nome, mentre ricordo bene le facce di alcune di quelle persone. Per breve tempo, dicevo. Perché spaventa vedere “l’altro” così da vicino e rendersi conto che ti somiglia tanto. Che magari qualcuno ha studiato, come e più di te. Che aveva una famiglia e un buon lavoro. Che a volte sono scelte tue sbagliate, a volte sono scelte di altri, a volte si scivola e quando ti rendi conto sei già fuori dalla società e non ci riesci a rientrare più. Una esperienza così la consiglierei a tutti. Se gli dai un euro ti lavi la coscienza e non capisci, se ci giochi a briscola e gli porti un té caldo, magari impari qualcosa.
complimenti, bellissimo post. So essere grigia anch’io talvolta. E spero che mio figlio cerchi sempre di capire.