Spoon River in salsa mantovana
La strada era lunga, sembrava non finire mai. Un tunnel di nebbia bianca, l’effetto condensa sui finestrini dell’auto, caldo dentro e freddo fuori.
Poi, quasi all’improvviso, ecco il casello autostradale e ci ritrovavamo nel paese sonnolento.
Il paese della bassa mantovana, dove sono nati i miei nonni, un secolo fa. Le strade larghe. E diritte, come solo lì. La piazza centrale, con il circolo e il partito. I vecchi che pedalano lenti, padroni della strada, la coppola di tre quarti. Il teatro sociale, ora un po’ in disarmo, ma imponente. E poi il lungo viale di tigli che portava al luogo per cui eravamo lì, come ogni anno nello stesso giorno: il cimitero.
Come molti italiani, anche i miei nonni erano nati in campagna e vissuti in città. Dopo molti anni, l’unica cosa che li legava alle origini era la visita ai loro defunti e ai cugini superstiti. Per me, ragazza di città ma amante delle tradizioni, era un tuffo in una dimensione che mi affascinava e in un certo modo mi faceva sentire protetta.
Appena si scendeva dalla macchina mia nonna si trasformava e tornava la ragazza di campagna che era stata. Parlava solo in dialetto mantovano, così come le sue sorelle che incontravamo lì, venute anche loro da Milano, con un innaffiatoio o una scopa in mano. “Ca ‘t gnìs ‘n càncar!” (lett: che ti venisse un accidente) era l’intercalare più diffuso, come dire cioè . Ca ‘t gnìs ‘n càncar se faceva freddo, se i fiori erano belli, se lo zio aveva la macchina nuova.
Il vecchio cimitero del paese era piuttosto grande e decadente. Perciò mi permetteva di storicizzare il pensiero della morte, di vivere la visita in una dimensione più culturale che personale. La ricerca delle tombe dei parenti si intrecciava sempre con l’evocazione di vecchi pettegolezzi ed insinuazioni derivanti dallo stato di manutenzione delle tombe.
Il giro cominciava sempre dal sacrario di famiglia in cui era sepolto mio nonno, quello che potremmo definire un monumento condominiale, visto che ospitava parecchia gente. Nei primi anni dopo la sua scomparsa mia madre piangeva sempre e questa cosa mi faceva stare malissimo, anche perché ero bambina. Con il passare del tempo ha giustamente prevalso la rassegnazione lasciando spazio allo Spoon River in salsa mantovana, piuttosto interessante. Ho scoperto di avere zie segrete che trafugavano lettere d’amore, bisnonni inventori scappati di casa con diciottenni dell’epoca, cugini di terzo grado morti cadendo da un tetto (evento che in città non avrebbe mai potuto verificarsi e quindi mi impressionava).
La gara era anche quella di essere i primi a mettere la più bella pianta di crisantemi nella tomba di famiglia, battendo le sorelle di mia nonna. I preliminari si svolgevano dal vivaista lì a fianco al quale – tutti gli anni inesorabilmente – veniva sempre chiesto se fosse già passato qualcuno della famiglia.
Espletati i doveri poteva allora partire il tour tra i ricordi e lo sguardo indugiava anche su antiche tombe di sconosciuti, dove i cognomi erano sempre quelli: Luppi, Malavasi, Bottardi, Daolio, Baraldi, Biagi, Baruffaldi… I nativi della Bassa non hanno mai nomi “normali”. Tra i nostri parenti c’erano Zoraide, Nelson, Cesira, Elfia…alcuni dei quali probabilmente inventati e poi diventati veri.
Tutti gli anni mia nonna ad un certo punto arrivava alla tomba di una sua amica morta di parto a 25 anni, guardava la foto di questa bella ragazza e si commuoveva. Per fortuna c’era sempre qualche sua sorella che la interrompeva per chiederle se il ristorante era stato prenotato e allora ritornava con i piedi per terra.
Già, il cibo.
Il trionfo della vita veniva sempre celebrato presso il solito ristorante dove tutti ogni anno ordinavano sempre le stesse cose. Si iniziava con il bevr’in vin, un piatto di cappelletti in brodo incandescente allungato con vino rosso, che con quel freddo apriva il cuore. Poi ciccioli a volontà, schiacciatine, ravioli di zucca al profumo di salvia e sbrisolona.
La liturgia prevedeva un’ultima visita ai lontani cugini, da cui ci si stordiva con il nocino. E poi, via, tutti in macchina verso la grande città, ci vediamo l’anno prossimo. Si ritornava alla realtà, lontano da quei nomi e da quelle foto ingiallite con il ricordo di un buon cibo che sapeva di vita e di famiglia.
Questa era la nostra festa dei morti, fino a qualche anno fa. Da quando ho i bambini non torno laggiù e quest’anno i miei figli gireranno mascherati per il condominio chiedendo “dolcetto o scherzetto?”. Non vedono l’ora, abbiamo comprato dei vestiti simpatici, intaglieremo la zucca e suoneremo i campanelli.
Penso che sarà proprio divertente.
Io però, prima dei figli, ho sempre odiato Halloween, la vedevo e tuttora la vedo come una festa consumistica, per far spendere soldi nei negozi. Il punto è che l’estetica infantile di Halloween è stupenda: le zucche arancioni, i cappelli da streghetta, i lavoretti, gli scherzi. E alla fine anche noi siamo stati inglobati.
Ma sì, arriverà poi il giorno in cui ce ne andremo tutti insieme nella nebbia della Bassa, a mangiarci un piatto di cappelletti fumanti.
Io abito appena di là da Po…la prossima volta avvisa!
Comunque sì, la bassa è così…folkloristica 😀
Son 30 km, ho controllato. Divertente!
Quindi lo dite anche voi “Ca ‘t gnìs ‘n càncar!” ?
Certo, ma io preferisco il “Ca ‘t gnìsa gninto!” 😀
Mantovana anch’io da parte di padre, ma a nord, zona Solferino.
Domani ci vado, ma nessun pellegrinaggio ai parenti deceduti: tra i miei parenti senzadio non va di moda.
Però i nomi da fuori di testa ci sono pure da me: conto un prozio Temistocle con il fratello Alcibiade (o forse era il contrario? Non mi ricordo mai) e soprannomi stupidi come se piovesse. Bea per un tizio che si chiama Giuseppe. Lulù per un vicino di casa, per esempio. Resi per Teresa (Teresa= TeRESIna=Resi)
Ricordo ancora mia zia: “Tuo padre non si chiama Claudio perché l’hanno scelto i nonni.” “A no?” “No, quando è nato le mie zie hanno fatto un consiglio di famiglia e hanno scelto un nome non storpiabile. Poi hanno mandato mio padre all’anagrafe.”
La Bassa, che paese!
E gli zii Ercole e Achille dove li mettiamo?
leggendo il tuo post ho ripensato al piccolo cimitero del paesino di collina della mia famiglia, dove ogni anno rivedo gli stessi nomi sulle lapidi più antiche, ognuna con una sua storia… davvero una Spoon River.
Sto a centinaia di km da te ma anche io avevo una lontana e anziana prozia che si chiamava Zoraide (va’ a sapere il perchè di questo nome esotico, ai quei tempi l’esotismo era un’aggravante) e anche dalle mie parti si usava mettere il vino nel brodo dei cappelletti!
Benvenuta Marina!
Di dove sei? Nord Italia, immagino.
Piemonte, a due passi dal Monferrato, che in questo momento è immerso in una penombra piovosa, perfetta per questa vigilia 😉
Quanti ricordi mi sono tornati in mente leggendo le tue parole, grazie! Le feste comandate una volta erano molto diverse, anche se stretti intorno alla nostalgia e la tristezza si stava in compagnia e ogni famiglia aveva le sue usanze e storie che la rendevano unica e speciale.
Ora siamo rimasti quattro gatti, che si stanno pure sulle palle e farebbero di tutto per non incontrarsi, per dire.
Eh, parenti serpenti.
E noi al cimitero ritrovavamo compagne di gioventù di mia nonne emigrate in Canada o cose del genere, che tornavano ogni 5-10 anni. e di novembre tornavano, povere, in quelle case fredde e disabitate di mezza montagna che anche se accendi il camino, dovresti accenderlo almeno 10 gg. prima per scaldarle un po’ quelle case.
Sì, questi incontri rendono piacevole frequentare luoghi che sarebbero solo tristi. Li addolciscono.
i miei nonni erano di Lodi e l’atmosfera era la stessa. l’unica che va ancora al cimitero è mia mamma. io i miei figli non li porto, mia mamma ha provato a portare Franz ma la cosa non lo ha toccato molto.penso che gli sia sembrato di andare sulla luna. non è che ci sia molto da fare, è così e basta. a me basta pensare ai miei nonni e non ho bisogno di andare al cimitero che mi sembra un posto tristissimo e gelido (forse perchè ci si va solo a novembre? dovrei provare ad andarci a giugno, chissà).
Il ricordo del freddo come vedi è anche il mio. Associato alla nebbia si sposa bene con i cappelletti in brodo 🙂
bellissimo post. Anche io ogni anno faccio il “tour” del cimitero del paese di mia mamma. è enorme e non so lei come faccia ad orientarsi e a trovare sempre tutte le tombe di tutti gli zii e prozii vari.
poi si va dritti dalla mia nonnina ,ormai ammalata e inferma, nelle nebbiose campagne del magentino.
Mi fai morire come descrivi il nonno sistemato nel sacrario “condominio”, me li immagino che ci fanno le assemblee e litigano…
Il condominio mi ha sempre molto incuriosita. Tutti quei nomi di sconosciuti, fare domande per capire e scoprire…che mio nonno aveva avuto una figlia prima del matrimonio! Come in una soap.
bellissimo post! Anche io parenti della Bassa…ma sponda veronese.
le tue parole mi ricordano moltissimo la mia infanzia. Venerdì tornare in quei cimiteri per ritrovare i miei nonni è stato molto più doloroso. Sarebbe bello pensare che non è cambiato niente, e invece, chi ti faceva compagnia tra quelle tombe ora è la che ti aspetta. Comunque ribadisco, bellissimo post
Grazie Ele, piacere di conoscerti!
Eh, Mantova, Verona siamo lì, no? Una faccia una razza 🙂
il piacere è mio, grazie mile 😉