Quelli che #Sanremo
Ormai sono tre anni che faccio l’inviata speciale a Sanremo con le #mammeasanremo e quello che continua ad affascinarmi è l’ipertrofico carrozzone che questa manifestazione porta con sé.
Sì, ogni anno ci sono le canzoni, l’artista-rivelazione, il campione che si riconferma, l’idolo del televoto, le polemiche mediatiche vere e verosimili, ma il vero spettacolo è quello che si assapora per le strade di questo paesone cresciuto intorno al Festival, grazie all’umanità ordinaria e a volte stravagante che passeggia in cerca di un VIP da fotografare.
Le vecchie con la pelliccia anche se ci sono i 15 gradi fissi della Riviera, i collezionisti di autografi, le eccentriche dai capelli fucsia che si piazzano davanti all’Ariston fin dal primo giorno per guardare e farsi guardare, i bambini che costringono i genitori a lunghi stazionamenti in zona red carpet per poter vedere i cantanti.
I sosia dei personaggi famosi. Li incontri ogni anno e ti chiedi come campino al di fuori del loro sogno ad occhi aperti. I famosetti, gli ex famosi e i mai stati famosi, che arrivano a frotte per farsi vedere, fotografare, toccare, persino sfottere. Ma esistere.
E poi la RAI. La Rai macchina da guerra, che occupa militarmente Sanremo sia come tv sia come radio, con i suoi tecnici, i giornalisti, il potente Ufficio Stampa che sforna costantemente i dati di ascolto mentre tu, povero illuso, insisti a pensare che sia il Festival della Canzone dove si deve prima di tutto parlare di musica.
La Sala Stampa dei giornalisti che scrivono sulla carta, che è dentro l’Ariston. Vedi Fazio in tv, scende il sipario, dopo un minuto si apre la porta e lui entra, lì alla tua sinistra, e tu rimani sempre un po’ sorpresa di questa apparizione in carne ed ossa. I giornalisti più titolati nelle prime file, i peones in fondo. L’inserviente che alle due di notte ti sollecita con la scopa in mano a lasciare la postazione.
La Sala Stampa di giornalisti, blogger e radio, dislocata al Palafiori. Sembra un castigo invece alla fine sei dove la sera ci sono le feste, le interviste meno istituzionali, gli sponsor, gli incontri casuali in cui da cosa nasce cosa. L’ambiente è più rilassato, ci si aiuta tra colleghi, nascono flirt e alla fine si fa la foto di gruppo.
I pass. Le differenti categorie di pass per cui sei vassallo, valvassino e valvassore. Quelli che possono entrare dappertutto, anche a vedere le prove cantanti. Quelli che solo in Sala Stampa all’Ariston. Quelli che solo al piano terra dell’Ariston. Quelli che solo al Palafiori. Quelli che solo a Casa Sanremo, lo spazio feste degli sponsor dove si scrocca il free drink e il live della notte. Quelli che distraggono la sicurezza e interrompono la prima puntata del Festival in diretta. Quelle come noi, che scappano al bar dell’Ariston dove c’è Gianfranco Agus che intervista tutti quelli che passano, e poi escono sul red carpet e vengono anch’esse intervistate da un poveraccio, che dopo pochi secondi capisce di aver preso un abbaglio ma ormai è troppo tardi.
Sanremo che si trasforma in una passerella permanente di addetti ai lavori adornati di due/tre pass diversi, esibiti come status. I romani, perché ovunque tu vada senti parlare in romanesco, con quel tono splendidamente cinico e disincantato per cui “ehi, baby, è tutto ok, nulla può sorprenderci”. Tutti quelli che con il Festival non c’entrano niente, ma sono lì perchè per una settimana tutti i media parlano di Sanremo e bisogna approfittare dell’onda lunga. L’immancabile stand della Regione Calabria, le radio locali che si inventano di tutto per farsi notare, i VIP in declino che si siedono ad un tavolino del bar in Piazza Colombo per farsi fare la foto con tutti quelli che gliela chiedono,
I cantanti in gara che arrivano in Sala Stampa e noi peones del web che ci fiondiamo addosso a loro per scattare una foto con i nostri telefonini e condividerla subito su tutti i social. Quelli che quando arriva Arbore per farlo girare verso di loro gli gridano “Maestro!” e lui che se la ride, senza prendersi troppo sul serio. Quelli che devono fare una domanda al cantante e partono con un preambolo di complimenti di due minuti.
L’ufficio stampa dei cantanti, che lo chiami e ti farà sapere, che ti richiama e ti dice “quali domande?” e tu le butti giù in due minuti e ti capicolli su e giù per gli hotel, con il fiatone ma con l’aria più presentabile che puoi. I cantanti che poi non se la tirano per niente, ci mancherebbe, sono lì per promuoversi, e ti chiedi come facciano a macinare interviste come in una catena di montaggio, rispondendo sempre alle stesse domande con un minimo di entusiasmo per tutti.
Le giornate massacranti, tra conferenze stampa, incontri one-to-one, zig-zag frenetici tra la folla dei curiosi e poi accendi la televisione e vedi Renzi in diretta che snocciola i nomi dei ministri, ma rassicura tutti che finirà prima di Sanremo. E ti chiedi dove inizi e finisca questo cavolo di Sanremo, se non sia tutto un grande show, con i politici che parlano di canzoni e i presentatori che parlano di politica in un minestrone pop in cui si sono perse tutte le priorità.
Insomma, lasciate perdere lo show tv,
Sanremo è il Paese reale.