Guida al Fashion Camp per Mamme Blogger (tutto quello che avreste voluto sapere sul Fashion Camp e non avete mai osato chiedere)
[Attenzione: questo è un post in cui si fa uso esplicito di termini quali pay-per-post, visibilità, ROI, digital PR e follower. Astenersi blogger fortemente contrari al marketing.]
(adoro iniziare un post con quest’espressione, vi ho mai detto che uno dei miei sogni è sempre stato quello di tenere una rubrica per cuori infranti e bon ton tipo Donna Letizia?)
…Care Amiche, dicevo, oggi avrò modo di raccontarvi le mie impressioni sul Fashion Camp 2013, offrendovi il punto di vista di una che non c’entra niente con il fashion sui social, a parte questo post che resta uno dei vostri preferiti ever.
Dice: allora perché sei andata al Fashion Camp?
Due motivi.
1. Perché se c’è un ambiente da cui la mamma blogger media si sente esclusa è il fashion, essendole continuamente offerte occasioni per parlare di pannolini, pappe e cremine e non di borsette e tacchi a spillo. Quindi il sentimento imperante è quello della curiosità mista ad un senso di estraneità, il che rende tutto molto interessante.
2. L’occasione poi era ghiotta: assistere ad una tavola rotonda dal titillante titolo “Bloggers meet Brand”, che in soldoni vuol dire: mettiamo insieme fashion blogger, agenzie e noti brand e parliamoci chiaro su come lavoriamo e ci piacerebbe collaborare in futuro.
Viste le polemiche pro e anti sponsor che animano da anni il mondo del mommy blogging mi sembrava doveroso andare a sbirciare cosa si dice in mondi apparentemente diversi, ma in realtà molto più simili al nostro di quello che possiate immaginare.
Iniziamo dall’ambiente.
La Fabbrica del Vapore è uno spazio enorme che ospita spesso mostre e manifestazioni di vario tipo. Ogni momento del Fashion Camp era organizzato in vari spazi all’interno di questo unico grande ambiente, con corner artistici, sponsor e creativi.
La gente.
Ecco, una che va al Mamma Che Blog Social Family Day si immagina che il Fashion Camp sia affollato solo di donne in tacco 12 e abito firmato. A me invece sembra di aver incontrato un sacco di gente normalmente ben vestita che non se la tirava per niente (ok, molti più maschi che al MCBSFD).
Certo, le fashion blogger di professione dovevano per forza vestirsi da fashion blogger, ma mi sono parse così naturali da non sembrare legnose. Per essere esplicita: non c’erano fighe di legno, almeno quando ci sono andata io (scusate il francesismo). So che per noi mamme con la scarpa bassa e le macchie sulla maglietta questa sarebbe stata una gran consolazione, ma devo essere onesta: se andiamo in giro un po’ dimesse è perché lo vogliamo noi.
Quello che invece si nota molto è che mentre al MCBSFD si respira un’atmosfera estremamente calorosa e gioviale, come ad una festa tra amici che non si incontrano da molto tempo, il Fashion Camp è un ambiente che raccoglie persone con lo stesso interesse, molti dei quali professionisti nel settore moda, comunicazione e digital pr, quindi non è che si va in giro a darsi pacche sulle spalle e fare la maglia mentre si ascolta il dibattito in prima fila.
Quali sponsor?
Ce n’erano diversi, quelli che ho notato perchè mi piacciono sono Kartell, Yves Saint-Laurent make-up e Grazia. No, nessuno mi ha inseguito chiedendomi di posare con una creazione esclusiva (a me sarebbe piaciuto!)
I creativi.
Giovani designer che presentavano creazioni artigianali, prevalentemente gioielli e abiti. Era possibile acquistare. In effetti per loro è stata una bella vetrina, giusto dare loro visibilità.
I gadget
No, al Fashion Camp non si esce di default con la borsa dei campioncini, a meno che non si interagisca direttamente con qualche sponsor, vedi la maglietta che tutte tranne me indossano in questa foto della Yummy.
Ah, e non ci si mette l’adesivo sulle tette con il nome vero o presunto. Questo per la doverosa cronaca alle mie lettrici.
“Bloggers meet Brand”
Al Fashion Camp nessuno si fa problemi a parlare chiaramente di sponsorizzazioni, è chiaro che i blogger possono accettarle, a patto che le dichiarino. E’ normale intrattenere rapporti con i digital pr dei brand di moda, anzi, se sei una fashion blogger di successo è chiaro che collabori con gli sponsor, i quali possono aiutarti in modo sostanziale a creare contenuti per il blog.
Nel pubblico nessuno che si agita sulla sedia quando sente parlare di queste cose, come a volte capita in altri ambienti.
La cosa divertente è che la vita della fashion blogger non è mica tanto diversa da quella della mamma blogger: anche a loro arrivano le mail a capocchia scritte senza prima aver letto il blog, anche a loro si propone il famigerato “scambio di visibilità” con il prodotto in omaggio, anche a loro arriva il comunicato stampa inutile, anche a loro piacerebbe essere pagate e non sempre lo sono.
Insomma, il mondo fashion non è l’Eldorado che potrebbe immaginare chi sta fuori, tutt’altro. Hanno esattamente gli stessi problemi di chi vuole fare la mamma blogger professionista. Non è che le borsette si mangiano.
Interrogati, i gli esponenti delle aziende lo dicono chiaro: ci interessano i blog con tanti lettori e con contenuti ed immagine coerente con la nostra. Quello che mi ha colpito è che, dietro domanda esplicita di una ragazza nel pubblico, qualcuno abbia risposto che non interessa privilegiare le collaborazioni con le blogger con migliori capacità di scrittura e meno lettori.
Io la ragazza che ha fatto la domanda la capisco: la rete è piena di post un tanto al chilo, eppure spesso basta un’immagine, un titolo o semplicemente la personalità del blogger a rendere un blog più letto di un altro, seppure scritto meglio.
Ma c’è chi la pensa diversamente.
Mario Romanelli sta infatti lanciando un nuovo tool per la valutazione della qualità dei contenuti di un blog, Amplr, proprio con lo scopo di far emergere chi scrive bene rispetto a chi no.
I criteri utilizzati da questa applicazione riguardano solo i testi e le immagini (per es. non i miei video, che ritengo carini e mi costano non poco tempo, ma che non sarebbero nemmeno valutati).
La sua idea è quella di far emergere i migliori blogger per contenuto e capacità di scrittura ed eventualmente connetterli a chi ne ha bisogno. Considerazione interessante, staremo a vedere. Certo che i digital pr non sono d’accordo nel delegare ad un algoritmo la scelta di un blogger per un progetto, incrociano i numeri, ci curano!
Invece in platea, dove di blogger ce n’erano, mi è parso di notare un certo interesse.
Alla fine Arianna Chieli, direttore artistico del Fashion Camp e moderatrice, ha giustamente chiesto a tutti che tipo di collaborazione si augurino per il futuro.
Le blogger dicono di essere stufe dei post sponsorizzati tutti uguali su 10 blog contemporaneamente e vorrebbero lavorare su progetti di storytelling ad ampio respiro. Pare – dico pare – che i brand concordino.
I digital pr, che ne hanno viste di ogni, si limitano a rilevare come ultimamente la gente apra blog per lavoro e non per passione, con tutti i limiti del caso, e si chiedono se i blog non siano morti non appena le aziende si sono accorte della loro esistenza.
Eventualità su cui vi invito a riflettere privatamente augurando lunga vita ai digital pr! 🙂
Carina poi la chiusura del dibattuto con un consulente marketing che dal pubblico interveniva con enfasi per far capire alle blogger che hanno bisogno di un consulente marketing. Simpaticissimo.
Restano due domande aperte che giro a voi sperando mi illuminiate:
1. Ma siamo sicuri che ai lettori interessi la qualità? Già sarebbe utile intendersi sul termine “qualità”. Cos’è? Ed è la stessa cosa su tutti i social o cambia in virtù del mezzo?
2. Lettori di fashion blog, seguite un blog per i contenuti, le foto o perché la blogger vi piace da morire/vi sta antipatica? E in che ordine?
Notate che la stessa domanda si adatta anche a blog di altra natura.
Fatemi sapere!
Ciao Vero, condivido che anche io non ho visto fighe di legno. C’era una bella atmosfera al fashion camp e anche i designer che esponevano avevano delle belle creazioni. Rispetto alla tavola rotonda io avrei affondato di più il coltello nella questione “pagare/ non pagare”. E ripeto quello che ho già detto lì: continuano a inventare nuovi tool che fanno la stessa attività di monitoraggio.
Serve più consapevolezza all’interno delle aziende e meno rompiballe.
I blogger sono delle persone quindi ci si rapporta come si fa offline.
Anche io da mamma blogger non mi sono sentita estranea a quel mondo, persone normali e cordiali e se devo proprio essere sincera, ho visto tante ragazze vestite maluccio, ma con il desiderio di apparire a tutti i costi ed ho privato una dolce tenerezza!
Ciao Samuela!
Sì, anche io vedo tanta fragilità in chi vuole apparire a tutti costi.
Sono una “addetta ai lavori” nel senso che lavoro in una azienda e mi occupo di comunicazione. Le agenzie di comunicazione (anche di un certo livello) vendono alle aziende strategie di Digital PR ridicole…ma lo capisci poi, quando ti metti a “bloggare” per i cavoli tuoi e soprattutto a leggere i blog. C’è poca cultura in azienda…non esistono ancora gli strumenti per decodificare i social come mezzo di comunicazione. Ma vi prego, care blogger, non cadete nell’errore dei mezzi di comunicazione tradizionali. “parlo di te solo se mi paghi la pubblicità”. Mantenete la vostra indipendenza, parlate con sincerità dei prodotti che vi fanno testare, perchè in linea con i vostri contenuti. Solo così i blog possono mantenere la loro reale natura di indipendenza e fornire un vero servizio ai lettori (e anche alle aziende…)
Secondo me siamo già oltre, purtroppo. Se un brand ti invia una caterva di prodotti, un blogger non dirà mai che gli fanno schifo. La sincerità si è persa proprio quando si è iniziato a guadagnare con i blog. Ora le blogger si aprono i blog proprio per ricevere prodotti in regalo. Io ogni gg ricevo decine di email di blogger che si autopropongono. Rispetto alla poca cultura, ahimè hai stra-ragione. Agenzie e aziende (non tutte ovviamente) non sanno di cosa si sta parlando, ma siccome lo fanno tutti, allora si sentono in dovere di coinvolgere anche loro dei blogger.
Sì, se uno si mette in testa di guadagnare con il blog l’indipendenza risulta veramente difficile, a meno di non escogitare soluzioni veramente creative che guardacaso sono sempre le più difficili da realizzare. Però esistono e magari riguardano altri mezzi e non il blog.
Pensa che ad un certo punto è stato chiesto ad una fashion blogger se aveva mai fatto recensioni negative di un prodotto. Lei ha risposto che nel caso tende a non fare recensioni entusiastiche, semmai spiegando che per lei un determinato prodotto può non andare bene ma per altri sì.
Ha poi ammesso che in un caso la sincerità nei confronti dei lettori l’ha premiata, ma non l’ha premiata l’azienda.
Ora io mi chiedo: non è stato meglio così?
I blogger dovrebbero capire che la loro “ricchezza” sono i lettori, non tradirli.
Detto questo, dipende molto da chi fa le cose e come.
E ti confesso, dopo questo incontro mi sono notevolmente chiarita le idee e ho capito cosa mi interessa fare come blogger.
…e che cosa ti interessa fare? La reporter di eventi ti riesce bene, fra i tweet che leggevo in semidiretta e questo post mi hai risparmiato la presenza al Fashion Camp 🙂
E’ sveglia la ragazza!
Fantastico riassunto, io dal mio posto in fondo alla fila non riuscivo a sentire bene.
Secondo me fa tanto anche il personaggio. Nel senso che se una blogger mi piace e mi racconta che prodotti usa, come li usa, perché li usa (quindi trovo una certa verità in quello che scrive, non un post strillato senza cuore), potrei scegliere proprio quel brand perché lo usa lei, anziché un altro.
Deve scrivere bene, nel senso che dalle sue parole deve emergere un po’ di lei e della sua personalità.
Le foto sono molto importanti. Non tanto per la macchina professionale, ma la prospettiva sul mondo (della moda, della famiglia, della casa) che mi propone.
Sì, anche secondo me certi personaggi sono alla base del successo di un blog, ma soprattutto il bisogno che molti lettrici hanno di trovare il personaggio.
Mi chiedo se non sia una tipicità femminile.
Non so, secondo te ai lettori uomini del blogger personaggio potrebbe interessare?
Beh, allora vediamo.
Quando ho aperto il blog, l’ho fatto per passione, per mettere la mia passione a beneficio di qualcun altro. Certo, il pensiero “pensaCheBelloSeUnaCasaEditriceLeggeIlMioBlogEloApprezza: potrebbe voler dire libri gratis” l’ho fatto. Libri in omaggio da valutare: praticamente l’Eldorado per me.
Poi ho letto qualche blog che questo salto l’ha fatto, ed è stata un’amara sorpresa: mi sono accorta di quanto è diventato piatto e spento il mondo editoriale italiano.
Nel mio tentativo di indipendenza di giudizio, però, devo dire che quando faccio una recensione negativa tendo a non calcare troppo la mano. Due i motivi: perché un libro per un autore è praticamente un figlio -e insomma, se dichiarassero pubblicamente che il mio amato bambino è un marasma di fregnacce illeggibili ci farei su più di un pianterello- e perché credo che in rete i confini tra critica e diffamazione siano labili e difficili da interpretare.
Dall’altro lato,mi rendo anche conto di una cosa: che se venissi contattata per una sponsorizzazione pagata, questa cosa darebbe legittimità a quello che faccio. Purtroppo si sa che nella laboriosa Brianza essere improduttivi è un reato federale: e una che ogni tanto passa la sua pausa tra una commessa e l’altra a scrivere post non pagati su un blog è un elemento socialmente pericoloso. Se avessi anche solo una sponsorizzazione pagata, chissà, forse mi farebbero meno menate…
E dimenticavo: sai che ho scoperto ora che Donna Letizia era la moglie di Montanelli? Diavolo, due menti così non potevano che finire insieme.!
Ah ah! Non avevo pensato a questo aspetto dell’improduttività, in effetti gestire un blog può richiedere molto tempo. Io la vivo come una passione che a volte diventa un lavoro, è questo che mi consente di essere libera e scrivere ciò che voglio.
Apprezzo la tua delicatezza nei confronti dei colleghi aspiranti scrittori, soprattutto su twitter leggo certe cattiverie..(me compresa, a volte).
Sì, immaginavo che qualcuno non conoscesse Donna Letizia e per questo ho messo il link: immagino sarai una pischella…
Sentirsi descrivere come una pischella mentre si galoppa di gran carriera verso i 33: sono soddisfazioni che non si possono comprare!
In realtà conoscevo il personaggio Donna Letizia; non sapevo però che a darle voce fosse la Rosselli.