Capolungo
Quella nella foto (di Laura Raggio) è la spiaggetta di Capolungo, situata alla fine della lunga passeggiata pedonale di Genova Nervi. Lì la strada finisce, iniziano le creuze e si vive la felicità delle cose più semplici. E’ una spiaggia aspra, rocciosa, scomoda. E’ corta, stretta, ruvida. Il mare si inabissa subito, le onde sanno di pietre che rotolano e il mare è troppo salato.
Da qualche anno a questa parte ci vengo spesso, sia d’estate che d’inverno. Ormai ci conoscono tutti e noi conosciamo tutti, almeno di vista. Capolungo non è un posto da turisti, è abitata dai nerviesi, anzi da intere famiglie di nerviesi: i nonni, i figli, i nipotini, i cugini, le zie anziane. Ogni giorno ci si scambia un’occhiata muta, anche quando a volte non ci si saluta, ma è sufficiente uno sguardo per darsi il buongiorno. Ognuno occupa il proprio posto sulla battigia, rispettando la zona degli altri. Le signore che chiacchierano più su in fondo, vicino alle barche, i bambini seduti sui sassi della riva, i ragazzini che sguazzano nell’acqua, si buttano dagli scogli, giocano a pallanuoto. Sono ragazzini sani, che passano sei mesi l’anno in costume e a piedi nudi, corrono da casa alla spiaggia e da spiaggia alla casa, rincorrono il pallone su per la creuza, mentre la nonna li guarda dalla finestrella che si apre su un muro tutto scrostato dal vento e dalla salsedine.
C’è il Nonno di Capolungo, che è diventato il nonno di tutti i bambini del paesino. Li segue con lo sguardo, proteggendoli dai pericoli, si tuffa in acqua con loro, ride, lascia che gli si arrampichino addosso. Ci sono i vecchi, che piazzano un tavolino lì, nel bel mezzo del passaggio, ed improvvisano un giro di carte vista mare. Ci sono i papà, che caricano i figli sulla barca e vanno a fare un giro nel golfo, ad insegnar loro l’arte della pesca. Dei papà in gamba, che non passano il tempo a metter cremine e cappellini ai figli, che non si depilano il petto e non giocano alla playstation, e se anche hanno un po’ di pancia sono solidi come rocce. C’è un ragazzino, che arriva in canoa dal porticciolo di Nervi, trainato dai suoi cani, legati con una cima alla prua, che, atletici, hanno nuotato fino a qui. Alle sette di sera arriva anche l’allenatore di una squadretta di calcio juniores: divide i ragazzotti metà di qua e metà di là sulla spiaggia. E giù con le corse in acqua, sia da soli che con un compagno caricato sulle spalle. L’allenatore si sbraccia, sbraita, urla, incita. E quando tutto è finito si torna a casa correndo sulla passeggiata che porta fino a casa.
Dietro la spiaggetta c’è anche quella che un tempo era la stazione dei treni di Sant’Ilario, lo scalo dove arriva Bocca di Rosa. Oggi è chiusa, ma un piccolo monumento ricorda la canzone di De André.
Quando torniamo a casa, incamminandoci per la passeggiata, di fronte a noi troviamo il tramonto su Genova. Ci acceca ma al tempo stesso ci scalda. Il nostro cuore è pieno della felicità delle cose semplici.
Genova come un pò la liguria in generale, mi manca e questa tua descrivione fa venire l’acquolina in bocca, meraviglioso.
Ciao, che bella descrizione! Ma non è che stai spassandotela uun po’ troppo? Quand’è che torni nella poetica Milano? Un abbraccio, extramamma
quasi quasi ci scappa la lacrimuccia
@marlene: allora speriamo che tu ci possa andare presto!@extra; hi hi! diciamo che cerchiamo di far scaricare Fagio e Buddina su una spiaggia e non sul cemento. Anche per noi non è male, ovviamente…@fgem: sì, si sta da dio!
sembra un posto delizioso, io conosco pochissimo della liguria (è off limitd al camper!)
cara M di Ms, per una nostalgica di De André questo posto è un sogno…
Vale: venite a trovarci quando volete…è così vicino.
ciao! arrivo a te attraverso extramamma…
Sono genovese, da 13 anni trasferita a Roma.
La tua descrizione di Capolungo, che conosco molto bene e dove un ramo della famiglia di mia mamma ancora vive, mi ha catapultato lì, come se stessi vedendo quello che raccontavi… Grazie!
un saluto
maria chiara: chissà, magari li conosco!