Azzurro. La mia finestra sul cortile
Quando ero piccola e finiva la scuola, passavo lunghi periodi a casa di mia nonna, a Milano.
Lei faceva i mestieri e io i fatti miei. Che erano perlopiù trovarmi qualcosa da fare da sola, in quell’appartamento di città dove tutto sapeva di confortante abitudine e caffè Hag.
È stato per tenere compagnia a me stessa che sono diventata lettrice insaziabile, presentatrice e conduttrice radiofonica immaginaria, direttrice d’orchestra con la penna Bic e suonatrice autodidatta di armonica a bocca.
La nonna non mi portava in giro, come fanno oggi le nonne moderne che sono sempre da Accesorize con le nipotine. Io mi sentivo un po’ sola e dentro di me avevo la certezza che la vita fosse sempre da qualche altra parte, di sicuro non dove ero io.
(Tra l’altro è una sensazione che spesso provo ancora oggi, da adulta. Che ci sia sempre qualcosa di più eccitante da scoprire e io possa restarne fuori.)
Quando proprio non ne potevo più di stare chiusa dentro quelle quattro mura mi affacciavo al balcone che dava sul cortile.
Il cortile era enorme, comprendeva un intero isolato. Case costruite tra la fine degli anni Trenta e Cinquanta, un po’ severe, tutte con il loro affaccio interno, tanti piani e il portone a vetri.
Stavo delle ore a scrutare i balconi, palazzo dopo palazzo, cercando di intuire la vita nascosta dietro le pesanti tende verdi da sole.
C’erano i balconi tutti ordinati, con l’armadio di metallo, i vasi con i gerani, qualche pezzo di carta argentata messa apposta per tenere lontani i piccioni.
C’erano i balconi tristi, disadorni, abbandonati a se stessi, vuote pertinenze di case abitate solo la sera dopo il lavoro.
C’erano balconi pieni di movimento: la pensionata che svelta stendeva i panni, la porta finestra lasciata aperta da cui filtrava la voce di un telegiornale, il marito in canottiera che veniva a fumarsi una sigaretta dopo pranzo.
Un giorno in un cassetto trovai un vecchio binocolo appartenuto a mio zio da piccolo. Da allora le mie incursioni solitarie non furono più le stesse.
Iniziai a sbirciare i balconi più lontani, scoprendo sempre nuovi dettagli.
Il movimento delle foglie degli alberi, per esempio, gli studenti fuori sede che suonavano la chitarra (e che eco fantastica in giro per il cortile), scorci di cucine illuminate, schizzi di rubinetti e stoviglie nello scolapiatti, gatti invisibili ad occhio nudo.
Quando mia nonna si accorse del mio passatempo mi sgridò: non si spiavano gli altri in casa propria!
Io invece non capivo cosa stessi facendo di così sbagliato: erano gli altri ad offrirsi al mio sguardo.
Finché un giorno un signore si accorse di me. Forse anche lui stava perlustrando annoiato l’andamento monotono del grande cortile. Fatto sta che mi guardò.
E io mi sentii un po’ smascherata di un torto che non avevo commesso. Mi vergognai e corsi subito in casa a nascondermi.
Giocai con il binocolo ancora un paio di volte, ma poi non lo feci più.
Ieri sera ho riguardato “La Finestra sul Cortile” di Alfred Hitchcock con i miei figli ed è così che molti di questi ricordi sono riaffiorati.
Lunghe estati calde e noiose in compagnia di nonni affettuosi ma poco coinvolgenti, giochi inesistenti tutti da inventare, la compagnia di me stessa come quella di una migliore amica. Il bisogno di spiare gli altri per interrompere la monotonia.
Non avrei mai pensato che fossero proprio quei pomeriggi interminabili – un po’ a perdere – ad insegnarmi a vivere la vita di oggi. Solitaria, autogestita, automotivante.
Con quella sensazione che la vita sia sempre da qualche altra parte, ora.
Photo credit: Gianfranco Goria
nel leggere il tuo post mi è ritornata in mente la casa di mia nonna. una grande casa con il balcone del tinello a me accessibile. mia nonna era un continuo via vai dal balcone e io la seguivo. cosa che a casa mia non era permesso. e anche io osservavo i palazzi intorno e le persone che ci abitavano. anche perchè la nonna conosceva un po’ tutti e raccontava aneddoti e soprannomi di tutti. ah, quanti anni fa e beata infanzia…
L’altra mia nonna abitava in una casa di ringhiera. Lì farsi i fatti degli altri era considerato normale! Ci avevo scritto anche un post, tempo fa. Niente da fare, le case delle nonne si imprimono nella memoria di tutti i nipoti.